Giustizia e libertà, come esigenze esistenziali, mostrano
così di implicarsi, di non potere fare a meno l’una dell’altra:
non c’è giustizia senza libertà di perseguirla; non c’è libertà
senza una giustizia che meriti di essere perseguita.
Gustavo Zagrebelsky
Premessa
Bernard Lazare, l’intellettuale anarchico di origine ebraica che in piena solitudine sollevò la coltre degli intrighi e ingiustizie che portarono alla condanna annunciata del capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus, in apertura del suo pamphlet, L’affaire Dreyfus, une erreur judiciaire, a proposito delle spaventose abitudini giudiziarie che consentirono di celebrare il processo a porte chiuse, affermava: “Ciò che appare più di tutto incredibile è che degli uomini gelosi della propria indipendenza e che si dicono liberi, accettino simili violazioni della libertà e sopportino che si possa così, attentando al diritto altrui, attentare alla propria persona ed ai propri diritti”.
Il bersaglio della polemica di Lazare era in primo luogo il Consiglio di Guerra, il tribunale militare che stravolgendo tutte le regole del diritto e dimostrandosi più sensibile ai richiami del corporativismo totalitario piuttosto che della giustizia, emetteva una durissima condanna nei confronti di Dreyfus solo perché ebreo. Ad essere giudicato non era un uomo sulla base di prove e di un movente certi, ma un intero popolo contro il quale convergevano odi e antipatie ataviche: l’accusa al popolo deicida distillata dal millenario antigiudaismo, attraverso la correlazione con le forti pulsioni nazionaliste e xenofobe tornava a nuova vita trasformandosi nell’antisemitismo moderno.
Tuttavia, la critica di Lazare riguardava la maggioranza dell’opinione pubblica e della classe dirigente francese che, di fronte ad un tale scempio della dignità umana, della libertà e della giustizia, o si chiuse in un imbarazzato e imbarazzante silenzio, o appoggiò apertamente la campagna antisemita e antidreyfusard. A questa maggioranza che cedette alle pulsioni più basse urlando nelle vie di Parigi “Morte all’ebreo!”, Lazare opponeva un’etica della responsabilità e della legalità basata sul principio che negare la libertà ed i diritti di un solo uomo significa attentare alle libertà e ai diritti dell’intera collettività.
Lo scrittore anarchico nella querelle in favore di Dreyfus ancorava le sue tesi ad una solida tradizione illuminista e libertaria che aveva visti impegnati scrittori del calibro di Alessandro Manzoni con la Storia della colonna infame, di Voltaire con il Saggio sulla tolleranza e di Victor Hugo con Napoleone il piccolo. Sia nel caso della caccia agli untori a cui seguirono arresti, torture e condanne a morte, che nell’affaire Calas, anche questo conclusosi tragicamente con la pena capitale, o nel colpo di Stato di Napoleone III, Lazare individuava dei tratti comuni che vedeva chiaramente riemergere nell’affaire Dreyfus: il prevalere delle superstizioni e dei pregiudizi sulla ragione, dell’intolleranza religiosa, del disprezzo della Costituzione e delle regole. L’affaire Dreyfus si palesava dunque allo sguardo attento di Lazare come lo specchio di una profonda crisi sociale e politica che rischiava di mettere seriamente in pericolo le istituzioni repubblicane: la negazione della giustizia ancora una volta era il sintomo di un profondo attacco alle libertà. Da uomo libero, Lazare si impegnò in favore della verità e della giustizia creando i presupposti per la nascita del movimento dreyfusard e di un più vasto fronte in difesa dei valori illuministi e repubblicani.
Il valore della memoria
Ricordare oggi, nel centenario della sua definitiva assoluzione, la vicenda giudiziaria del capitano Alfred Dreyfus, ebreo di origine alsaziana, è particolarmente importante per tre fondamentali motivi: 1. il processo e la condanna di Dreyfus sono intrinsecamente legati alla travagliata storia della Terza Repubblica francese, tanto che una reale comprensione di quella intensa stagione storico-politica, e della successiva tragedia morale di Vichy, risulta piuttosto problematica, senza una appropriata lettura del conflitto politico, sociale, economico e culturale che l’affaire rivela e rende esplicito; 2. il processo fu preceduto e reso possibile dalla crescita del movimento antisemita moderno che, durante gli anni dello scontro più acceso tra dreyfusard e antidreyfusard, intensificherà la sua forza e la sua minaccia che si realizzeranno drammaticamente con la Shoah; 3. l’intervento di numerosi scrittori in difesa di Dreyfus portò alla nascita del moderno intellettuale engagé, figura complessa che percorrerà le contraddizioni del Novecento fino agli anni ’70.
Paradigma di ogni ingiustizia o, per meglio dire, di una giustizia che non sa essere giusta, l’affaire non ha mai cessato di suscitare l’interesse di studiosi e scrittori, sollevando ogni volta accesi dibattiti. In proposito, è sufficiente ricordare che, nel centenario della morte di Émile Zola, un’inchiesta condotta da Alain Pages ha riaperto in Francia il problema del presunto assassinio dello scrittore da parte di esponenti antidreyfusard.
L’arresto e la condanna del traditore
Il 25 settembre 1894, il maggiore Joseph Henry, vice comandante dell’Ufficio Statistica, sigla di copertura del Servizio Segreto francese, intercettò una lettera anonima – divenuta famosa con il nome di bordereau – indirizzata all’addetto militare dell’Ambasciata tedesca a Parigi, colonnello Schwartzkoppen.
Le informazioni militari contenute nella missiva erano di scarso interesse e, comunque, non tali da mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. Tuttavia, il bordereau evidenziò in modo inequivocabile che, all’interno dei quadri ufficiali dell’esercito, operava una spia al servizio della potenza nemica più odiata: la Germania. L’esercito francese rischiava di venir definitivamente colpito nella sua credibilità.
In seguito a sommari e orientati confronti calligrafici condotti dal maggiore du Paty de Clam, personaggio controverso e poco equilibrato, immediatamente i sospetti caddero sul capitano Alfred Dreyfus, ufficiale stagista allo Stato Maggiore, che venne arrestato il 15 ottobre con la pesante accusa di alto tradimento per aver venduto ad una potenza nemica importanti e segretissime informazioni militari, e rinchiuso nel carcere dello Cherche-Midi in completo isolamento. Al presunto colpevole e al suo avvocato difensore non verrà mai notificato ufficialmente l’atto d’accusa.
Il 19 dicembre iniziò il processo; il Consiglio di Guerra, dopo numerose schermaglie con la difesa, decideva di celebrarlo a porte chiuse, con la motivazione che erano in giuoco vitali interessi nazionali: era l’annuncio di una sicura condanna. Il 22 dicembre venne emessa la sentenza: all’unanimità Dreyfus veniva condannato alla deportazione a vita ed alla degradazione militare.
Il 5 gennaio 1895, nel cortile della Scuola Militare di Parigi, Dreyfus venne degradato: il suo grido disperato – “Sono innocente!” – si sovrapponeva, come un debole controcanto, alla melodia principale di una folla minacciosa che gridava – “Morte all’Ebreo!”, “Morte al Giuda traditore!”-. Quella mattina, tra il pubblico di giornalisti, era presente Theodor Herzl, inviato speciale del quotidiano viennese «Neue Freie Presse»: la disumanità di quella colorita rappresentazione che aveva al centro della scena un ebreo, le urla di odio della folla al suo indirizzo, cambiarono il corso della sua vita: nella sua mente lucida e irrequieta nasceva il programma sionista. La straziante scena dell’ufficiale ebreo degradato svelava, ancora una volta, che l’ennesima persecuzione stava per iniziare, che gli ebrei non potevano considerarsi al sicuro neppure in seguito alle leggi emancipatorie e proprio nel paese che, per primo, li aveva resi liberi cittadini.
Come si arrivò alla condanna di un innocente, nell’indifferenza generale e nel disprezzo delle più elementari regole del diritto solo perché ebreo?
La Terza Repubblica
La disfatta di Sedan aveva provocato un vero e proprio trauma nazionale: la perdita dell’Alsazia-Lorena, il ridimensionamento della grandeur, il disonore dell’esercito, avevano profondamente ferito l’orgoglio francese. La politica di Napoleone III veniva definitivamente sconfitta e con essa il mito di un esercito invincibile. Nella nazione umiliata e smarrita, che si interrogava sulle ragioni della sconfitta, salì l’onda sciovinista e nazionalista. Sedan non era stato un duro colpo solo per i francesi, ma anche per quegli ebrei alsaziani che scelsero la cittadinanza francese: tra questi la famiglia Dreyfus.
La Terza Repubblica, nata dalle ceneri di Sedan e dal bagno di sangue della Comune, viveva in un continuo stato di crisi, basti pensare che, dal 1875 al 1915 si formarono ben 52 governi con 279 ministri, e che nei dodici anni dell’affaire, dal 1894 al 1906, si alternarono ben 15 governi.
Un chiaro sintomo della crisi che pervase il paese fu il tentativo bonapartista del generale Boulanger che, dopo aver ottenuto 80 mila voti nella sola capitale alle elezioni del 1889, sollecitato da alcune frange nazionaliste a compiere un colpo di Stato, si rifiutava, convinto di poter conquistare il potere per acclamazione popolare. Boulanger venne bloccato e, accusato di complotto contro lo Stato, fuggiva a Bruxelles, dove morì suicida il 30 settembre 1891. Tuttavia, l’episodio contribuì ad acuire la crisi tra esercito e istituzioni repubblicane, accrescendo la diffusa sfiducia nei confronti dei militari, sempre più impopolari.
In questo quadro di crisi istituzionale e allarme sociale, intervennero due importanti episodi di crisi finanziaria. Nel 1881, in seguito a manovre speculative attuate dai Rothschild, iniziava il fallimento della banca cattolica Union Générale, evento che creò i presupposti per una ennesima campagna contro la finanza ebraica, giudicata dominante e quindi nociva per gli interessi nazionali. Nel 1891, venne alla luce lo scandalo del Panama. Ferdinand de Lesseps, già noto per la realizzazione del Canale di Suez, nel 1881 fondò una compagnia per l’apertura di un canale a Panama. Errori di progettazione e crisi economica costrinsero la compagnia ad emettere delle obbligazioni rimborsabili e, per ottenere una legge apposita, comprò i voti di alcuni parlamentari. La corruzione, in seguito al fallimento della compagnia che portò alla rovina di milioni di risparmiatori, diventava di dominio pubblico e scatenò una dura reazione nel paese. La stampa nazionalista e antisemita di nuovo attaccò gli ebrei, additati come i principali ispiratori dell’operazione finanziaria.
Nazionalismo e antisemitismo
Dalla violenta campagna di stampa condotta dai principali quotidiani francesi, prima contro la finanza ebraica e successivamente contro Dreyfus, emergeva con assoluta chiarezza la correlazione tra nazionalismo sciovinista ed antisemitismo: pur nelle evidenti differenze storiche, sociali, politiche e ideologiche, questi due movimenti trovarono un punto di saldatura nella Francia di fine Ottocento. Tra gli scrittori impegnati ad alimentare questo clima di tensione, troviamo Maurice Barrès , autorevole voce di un nazionalismo violentemente xenofobo, che cura per «Le Figaro» la rubrica Contre les étrangers. I risultati non tardarono ad arrivare. Ad Aigues-Mortes, cittadina nel Sud della Francia, nelle saline di Fangause e Peccais, dove ogni anno migliaia di lavoratori stagionali italiani venivano occupati in un lavoro massacrante e sottopagato, dal 16 al 18 agosto del 1893 si verificarono duri incidenti: dieci italiani morirono in seguito alle percosse subite.
L’odio antisemita era alimentato e diffuso da Édouard Drumont, autore, nel 1886, de La France Juive. Questo testo, con le sue 150 edizioni, può essere considerato a pieno titolo il manifesto del movimento antisemita francese. Nel 1892, Drumont fondò e diresse «La Libre Parole», che aveva come sottotitolo La France aux Français: il quotidiano, era la maggiore voce degli antidreyfusard, e chiedeva ripetutamente la condanna di Dreyfus. Molto attivo in tal senso era anche Max Regis, direttore del quotidiano algerino «L’Antijuif», che nel 1897 fondò la «Lega Antisemita di Algeri». Nella campagna elettorale per l’elezione del sindaco della capitale algerina, che lo vedrà vincitore, chiudeva i suoi comizi con la seguente frase: «Noi arrossiremo l’albero della nostra libertà col sangue ebreo ».
I toni erano ormai talmente accesi che il diplomatico italiano Raniero Paulucci di Calboli poteva annotare nel suo diario: «È una buona professione alla fine del secolo XIX quella dell’antisemita».
Bernard Lazare e Émile Zola
Il primo intellettuale che riuscirà a spezzare il silenzio calato sulla condanna di un innocente fu Bernard Lazare, uno scrittore anarchico poco noto al grande pubblico, ma molto attivo nel denunciare i pericoli del movimento antisemita con articoli e pamphlet indirizzati soprattutto contro Drumont. Sollecitato da Methieu Dreyfus, fratello di Alfred, nel novembre del 1896, Lazare pubblicò a Bruxelles Une erreur judiciaire, la vérité sur l’Affaire Dreyfus, un pamphlet che ha avuto il grande merito di segnalare tutte le irregolarità del processo e di sollevare forti dubbi sulla colpevolezza del capitano ebreo. Irregolarità e dubbi che Lazare comunicò a Scheurer-Kestener, vice presidente del Senato, e a Émile Zola che, il 16 maggio 1896, aveva dal canto suo iniziato la sua personale battaglia contro il crescente antisemitismo, con la pubblicazione sul quotidiano «Le Figaro» dell’articolo Pour les Juifs, fornendo un valido sostegno allo stesso Lazare. Era l’inizio del movimento dreyfusard: la pubblicazione del J’accuse di Zola, il 13 gennaio del 1898 sul quotidiano «L’Aurore», diretto da Georges Clemenceau, sarà decisivo per arrivare alla scoperta della vera spia nella persona del comandante Esterhazy e, dopo ben altri due processi, alla definitiva assoluzione di Dreyfus.
La battaglia civile per il riconoscimento dell’innocenza di Dreyfus si intrecciava dunque con l’opposizione al movimento antisemita e la difesa dei valori repubblicani. La stesura del manifesto degli intellettuali, firmato tra gli altri, da Marcel Proust, Anatole France, Charles Péguy, Georges Clemenceau, Jean Jaurès, André Gide e Octave Mirbeau, fu l’evento che segnò la nascita del moderno intellettuale engagé, figura fondamentale per lo sviluppo di quel vasto movimento dreyfusard che difenderà la Terza Repubblica traghettandola, con “lo spirito di Verdun” e la ritrovata unità nazionale, verso la vittoria nel primo conflitto mondiale. Tuttavia, la profonda lacerazione creata nella società francese dall’affaire Dreyfus, non sarà mai del tutto rimarginata: il collaborazionismo del governo di Vichy ne è l’esempio più rilevante.
Conclusioni
Le spaventose abitudini giudiziarie che portarono Bernard Lazare ad una rivolta morale e politica, e ad una netta e chiara presa di posizione contro l’uso politico della giustizia, non ebbero certamente fine con l’assoluzione di Dreyfus. Altri casi di errori giudiziari o di uso distorto della giustizia avrebbero in seguito interessato in tutto l’arco del Novecento importanti scrittori che, sollecitati dall’impegno di Lazare e Zola in difesa di Dreyfus, presero coscienza che non può esistere libertà senza una giustizia che sappia essere giusta. Anatole France con il racconto Crainquebille, Jules Verne con il romanzo Un dramma in Livonia, André Gide con Il caso Redureau, Jean Giono con la vicenda di Gaston Dominici, Jakob Wassermann con la celebre trilogia dedicata a Il caso Maurizius, Leonardo Sciascia con Il contesto e L’affaire Moro, hanno chiaramente denunciato la barbarie di una prassi giudiziaria che cerca con ogni mezzo di scovare un colpevole per autoproclamarsi infallibile. Un ultimo esempio di questa ostinazione è il processo ad Adriano Sofri, analizzato da Carlo Ginzburg nel suo libro Il giudice e lo storico, un caso che porta alla memoria le vibranti parole di protesta di Bernard Lazare:
“Ogni processo individuale diventa generale: simili barbari metodi giudiziari non devono più esistere in un paese libero. Non è più possibile ormai che una mattina si possa arrestare un uomo, isolarlo dal mondo, soffocarne la voce, condannarlo in una chiusa segreta, senza che fuori niente di ciò che lo difende o che lo accusa possa essere conosciuto. Si colpisce la libertà di tutti i cittadini a causa della maniera atroce in cui qualcuno è stato giudicato; e difenderne uno solo significa difenderli tutti. Io ho difeso il capitano Dreyfus, ma ho difeso anche la giustizia e la libertà.”
Pubblicato sulla rivista “Tratti” n. 73, Anno XXII, Autunno 2006
Bibliografia fondamentale
Massimo Sestili, L’errore giudiziario. L’affaire Dreyfus, Zola e la stampa italiana, con una nuova traduzione del J’accuse di Zola, Faenza, Mobydick, 2004.
Bernard Lazare, Contro l’antisemitismo, a cura di Massimo Sestili, Roma, Datanews, 2004.
Bernard Lazare, L’affaire Dreyfus : un errore giudiziario, a cura di Paolo Fontana, Faenza, Mobydick, 2001.
Riccardo Reim, La Parigi di Zola, Roma, Editori Riuniti, 2001.
Émile Zola, L’affaire Dreyfus. La verità in cammino, a cura di Massimo Sestili, Firenze, Giuntina, 2011.
Zeev Sternhell, Né destra né sinistra. L’idelogia fascista in Francia, Milano, Baldini e Castaldi, 1997.
Gianni Rizzoni, Dreyfus. Cronaca illustrata del caso che ha sconvolto la Francia, pref. di Indro Montanelli, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano 1994.
Raniero Paulucci di Calboli, Parigi 1898: con Zola per Dreyfus, diario di un diplomatico, a cura di Giovanni Tassani, Clueb, Bologna 1998.
Norman L. Kleeblatt, L’affare Dreyfus. La storia, l’opinione, l’immagine, a cura di, Bollati Boringhieri, Torino 1990.
Mathieu Dreyfus, Dreyfus mio fratello, prefazione di Jacques Millerand, Editori Riuniti, Roma 1980.
Fausto Coen, Dreyfus, Mondadori Editore, Milano1994.