“Perché, vede, al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza (e qui ho netta l’impressione che in quella categoria volesse mettere se stesso). Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso”.
Parole di Enrico Fermi riportate dal prof. Giuseppe Cocconi in una lettera a Edoardo Amaldi

 

Una vecchia fotografia ritrae il piccolo Ettore all’Istituto Massimo di Roma diretto dai Padri Gesuiti, dove frequenta le  scuole elementari. Non si tratta della solita scolaresca severamente ordinata con il maestro impettito al centro della scena. I bambini formano dei piccoli gruppi: alcuni sono seduti intorno a due tavolini, altri appollaiati sopra una scala, altri ancora fanno la conta. Ettore, addossato alla cornice del portone, è in disparte, solo e indifferente, lo sguardo rivolto a terra come a schivare l’obiettivo della macchina fotografica: sembra completamente assente e distaccato dalla vita che lo circonda. Sul suo volto di piccolo saraceno si intravedono una ritrosia e una timidezza che contrastano con l’allegria generale e sembrano anticipare il destino di un genio. Un destino che richiama le parole del Grande Inquisitore: che colpa ha un’anima debole, se non è in grado di accogliere in sé doni tanto tremendi?

Ettore, dai Fisici di via Panisperna, verrà chiamato il Grande Inquisitore, per la sua capacità di penetrare i segreti dei numeri e della natura, per la sua straordinaria ampiezza teorica, per il suo sguardo profondo e indagatore, per il suo carattere riservato, per i suoi giudizi taglienti e definitivi. Ma nessuno, ad eccezione degli amici più intimi e della madre, ha afferrato il dramma che portava con sé: Ettore, come ha ben detto Sciascia, “portava” con sé la scienza, o per meglio dire, la fisica teorica, un dono tremendo che lo annienterà.

Nostro scopo, oltre che ricordare gli indubbi meriti scientifici di Majorana, è di interrogare il mistero dell’uomo, suggerire possibili tracce di un percorso di conoscenza di questa  figura geniale e ribelle che non riuscì, malgrado gli sforzi compiuti in tal senso, ad inserirsi nella quotidiana normalità; cercare di evidenziare, attraverso le testimonianze di chi gli è stato vicino e ne ha potuto apprezzare le immense qualità, l’inesprimibile paura che lo portò a rifiutare la notorietà e una carriera scientifica che si prospettava di primo piano, paragonabile a quella di Einstein e Heisenberg.

Siamo convinti che, al di là dell’attualità dei contributi scientifici di Majorana, gettare uno sguardo interiore sull’uomo per illuminarne le zone d’ombra che racchiudono il suo segreto, narrare la storia di un’anima, sia un modo efficace per avvicinare gli studenti alla scienza, spesso avvertita come arida e distaccata dalle vicende umane. In ciò siamo anche confortati da Gilberto Bernardini che, in una lettera a Erasmo Recami, a proposito della pubblicazione di uno studio su Majorana affermava: ‘Mi permetterei il suggerimento di prescindere dall’eccezionale ingegno di Ettore come fisico per accentuare quanto di lui potesse rievocare la complessa spiritualità umana, tanto più estesa ed illuminata di quella sulla quale hanno fantasticato dei romanzieri’.

 

Chi era Ettore Majorana?

Sollecitato da Fermi, che gli fece ottenere una borsa di studio del CNR per un soggiorno di studio a Lipsia e Copenaghen, Ettore, pur avendo al suo attivo importanti studi, scrive il suo curriculum con queste laconiche parole: “ Sono nato a Catania il 5 agosto 1906. Ho seguito gli studi classici conseguendo la licenza liceale nel 1923; ho poi atteso regolarmente agli studi di ingegneria in Roma fino alla soglia dell’ultimo anno. Nel 1928, desiderando di occuparmi di scienza pura, ho chiesto e ottenuto il passaggio alla Facoltà di Fisica e nel 1929 mi sono laureato in Fisica Teorica sotto la direzione di S.E. Enrico Fermi svolgendo la tesi ‘La teoria quantistica dei nuclei radioattivi’ e ottenendo i pieni voti e la lode. Negli anni successivi ho frequentato liberamente l’Istituto di Fisica di Roma seguendo il movimento scientifico e attendendo a ricerche teoriche di varia indole. Ininterrottamente mi sono giovato della guida sapiente e animatrice di S.E. il professor Enrico Fermi”.  A meravigliare non sono solo le essenziali e modeste parole, ma la disinvolta ironia sulla guida sapiente e animatrice che non deve essere sfuggita a Fermi, perché entrambi sapevano che Majorana era nettamente superiore sia nel calcolo che nella fisica teorica.

La sorella Maria ne traccia uno spaccato più intimo: ‘Una mente geniale, aperta non soltanto ai problemi della scienza. Una persona di qualità superiori, a cui non mancava l’ironia, né l’umorismo; di carattere riservato, ma insieme d’animo sensibile e gentile’. La testimonianza è importante, in quanto evidenzia come la scienza fosse soltanto uno degli interessi che rientravano nell’orizzonte di una personalità tanto complessa: Majorana non era un tecnico, contrariamente a Fermi, non amava la fisica sperimentale; era un teorico e per lui risultava impossibile non inserire la scienza in un più vasto contesto filosofico e letterario. Come afferma Edoardo Amaldi, ‘Ettore conosceva e apprezzava in generale i classici e prediligeva Shakespeare e Pirandello’. Questo interesse per la letteratura, a cui si aggiungerà la passione per la filosofia di Schopenhauer, risulta fondamentale per comprendere la sua difficoltà ad inserirsi stabilmente nel gruppo di ricerca di via Panisperna e ad entrare in sintonia con il più pragmatico Fermi. E nel contempo, fornisce un’utile traccia per afferrarne il segreto, che spesso, come ricorda Amaldi, ha del profetico: ‘La scelta di alcuni dei problemi da lui trattati, i metodi seguiti nella loro trattazione e, più in generale, la scelta dei mezzi matematici per affrontarli, mostrano una naturale tendenza a precorrere i tempi, che in qualche caso ha quasi del profetico’.

Dell’ironia pungente e del tragico umorismo pirandelliano di cui parlano Maria e Amaldi, nonché del suo rapporto distaccato e disincantato con il mondo scientifico, troviamo conferma in una lettera che Ettore invia alla madre da Lipsia nel ’33: “L’Istituto di Fisica con molti altri affini è posto in posizione ridente, un po’ fuori di mano, fra il cimitero e il manicomio”. Un’alternativa, questa tra il cimitero e il manicomio, che vivono la quasi totalità dei personaggi pirandelliani.

Tuttavia, ironia e umorismo in Majorana si sovrappongono alla lucida intelligenza nel saper leggere il suo disagio interiore, che si trasforma inesorabilmente in una sensazione di inadeguatezza nel momento in cui si trova a contatto con il mondo. In una lettera al suo amico Gastone Piqué dell’ottobre 1926, confessa: “Devi sapere che mi sono dedicato al più scientifico dei passatempi: non faccio niente ed il tempo passa lo stesso. Veramente mi sto occupando di un sacco di cose. Ma trattandosi di soli fatti, di vivi fatti del pensiero e non di fatti empirici, bisogna farci la tara”; e più avanti aggiunge: “Infatti io sono stato fin dalla nascita un genio ostinatamente immaturo”.

Di questo dramma interiore di cui Ettore ha piena coscienza, non si accorge nessuna delle persone che lo frequentano con una certa assiduità. Lo stesso filosofo Giovanni Gentile che, in seguito alla scomparsa di Ettore, scrive una lettera al capo della polizia Arturo Bocchini per sollecitare più accurate ricerche, mostra una scarsa consapevolezza.  Risalta particolarmente un passaggio della lettera: ‘Il prof. Majorana è stato in questi ultimi anni una delle maggiori energie della scienza italiana. E se, come si spera, si è ancora in tempo per salvarlo e ricondurlo alla vita e alla scienza, non bisogna tralasciar nessun mezzo intentato’. Colpisce l’idea del filosofo che la salvezza di Majorana potesse coincidere con il suo ritorno a quella vita e a quella scienza che egli aveva rifiutato e di cui, stando a ciò che afferma la madre nella lettera indirizzata a Benito Mussolini, era stato piuttosto una vittima: ‘La serenità e la severità della sua vita e dei suoi studi permettono, anzi impongono di considerarlo soltanto come una vittima della scienza’. Vittima di quel dono tremendo che portava con sé.

 

I ragazzi di via Panisperna

Il senatore Corbino, direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, sognava di fondare nella capitale un grande Istituto in grado di competere con gli Istituti europei. Per realizzare il progetto, nel 1926 bandì un concorso per la cattedra di Fisica Teorica che fu vinto dal giovane Fermi. Compiuto il primo passo, bisognava raccogliere intorno a Fermi dei ragazzi altrettanto geniali: immediatamente aderì al progetto Franco Rasetti. Corbino ebbe poi l’idea di rivolgere un appello agli studenti di Ingegneria per invitarli ad iscriversi a Fisica, ‘dicendo esplicitamente che, nella situazione di fermento di idee che esisteva ormai in tutta Europa nel campo della fisica e con la nomina di Fermi a professore a Roma, si apriva, a suo giudizio, un periodo del tutto eccezionale per i giovani che avessero già cominciato a dare prova di essere sufficientemente dotati e che si sentissero disposti ad intraprendere uno sforzo non comune di studio e di lavoro teorico e sperimentale’. Aderirono immediatamente Amaldi e successivamente Emilio Segrè ed Ettore Majorana, il più intelligente. Majorana fu esortato ad iscriversi all’Istituto di Fisica dall’amico Segrè che spesso parlava con Fermi delle sue eccezionali qualità.

Dal ricordo di Amaldi si ricava come Ettore fosse dotato oltre che di una eccezionale intelligenza anche di un carattere molto particolare: ‘Di lontano appariva smilzo, con un’andatura timida e quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme l’aspetto di un saraceno. Fermi lavorava allora al modello statistico [dell’atomo] che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrò a Majorana gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento e, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto qualche chiarimento, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, si presentò di nuovo all’Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posto sotto gli occhi per pochi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse dalla tasca un fogliolino su cui era scritta un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore. Confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, disse che la tabella di Fermi andava bene e, uscito dallo studio, se ne andò dall’Istituto. Dopo qualche giorno passò a Fisica e cominciò a frequentare regolarmente l’Istituto’.

Praticamente fu Majorana a fare l’esame a Fermi e a decidere che poteva frequentare  l’Istituto, dopo aver calcolato in sole ventiquattro ore una tabella che sicuramente aveva impegnato Fermi per alcune settimane. Il ‘Grande Inquisitore’, solo, di fronte al ‘Papa’ (Fermi), al ‘Cardinale Vicario’ (Rasetti) e a ‘Basilisco’ (Segrè), aveva presentato le sue credenziali lasciando tutti ammutoliti.

Della genialità di Ettore e della sua noncuranza nel valutare le importanti innovazioni che introduceva nel calcolo è testimone anche Laura Fermi: ‘Alle riunioni nella stanza di Fermi, Majorana andava solo di rado. Majorana era un genio: un prodigio in aritmetica, un portento per la profondità e la forza di pensiero. Nessuno si dava la pena di mettersi a far calcoli se c’era Majorana. «Ettore, qual è il logaritmo di 1538?». «Ettore, mi dici la radice quadrata di 243 per 578 al cubo?». Ettore aggrottava le folte sopracciglia, moveva le labbra rapidamente, poi alzava la testa e dava la risposta esatta, senza nemmeno tirar fuori le mani di tasca. Una volta Fermi e Majorana fecero una gara: si proposero un problema complicato e si diedero a risolverlo, Fermi con carta, matita e regolo calcolatore, Majorana senza nulla, a mente. Ci misero lo stesso tempo. Majorana però aveva un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto Fisico si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea’.

Spesso, nelle discussioni che si svolgevano all’Istituto su un particolare problema di interesse generale, Majorana si alzava, prendeva dalla tasca il suo pacchetto di Macedonia dove era perfettamente scritta una sua teoria o una tabella di calcoli, copiava alla lavagna i suoi risultati e gettava il pacchetto nel cestino dei rifiuti.  In questo modo sono finite molte delle sue ricerche, ‘Majorana aveva pensato e calcolato la teoria di Heisenberg, del nucleo fatto di protoni e neutroni, prima che Heisenberg la pubblicasse, ma non la scrisse mai’. Distruggendo i suoi studi, rifiutandosi di pubblicarli, forse Majorana voleva distruggere la scienza che si portava dentro, causa del suo tormento e della sua insoddisfazione.

Numerose sono le testimonianze della genialità di Majorana. Ricorda Segrè: ‘Majorana era assai superiore ai suoi nuovi compagni sia come intelletto sia come profondità e estensione di cultura matematica e, per certi aspetti, soprattutto come potere di astrazione e abilità nella matematica pura, era anche superiore a Fermi. La sua natura lo conduceva a lavorare solo e ad appartarsi dal genere umano. Non partecipava molto ai nostri studi perché erano per lui troppo elementari, ma ci aiutava in problemi teorici e ci sorprendeva sia con le sue idee originali e talora paradossali, sia per la sua capacità di calcolo mentale’.

Anche Bruno Pontecorvo conferma: ‘Qualche tempo dopo l’ingresso nel gruppo di Fermi, Majorana possedeva già una erudizione tale ed aveva raggiunto un tale livello di comprensione della fisica da poter parlare con Fermi di problemi scientifici da pari a pari. Lo stesso Fermi spesso ne rimaneva stupito e, talvolta, si sminuiva persino davanti a lui’.

Fermi, ormai un’autorità internazionale, si sentiva in soggezione solo di fronte a Majorana e riconosceva in privato che Ettore era ‘il più grande fisico teorico del tempo’. Ricorda Pontecorvo: ‘Era tipico il sorriso colpevole e fanciullesco che gli spuntava sul volto quando, in verità abbastanza di rado, per qualche motivo perdeva la fiducia in se stesso, ciò accadeva, per esempio, alla presenza di Majorana, dotato di una imponente personalità’.

 

I contributi scientifici

La Commissione, composta da Fermi, Lazzarino, Persico, Polvani e Carrelli, che si riunisce il 25 ottobre 1937 per sollecitare la nomina di Majorana a professore per alta e meritata fama, invia al Ministro Giuseppe Bottai una relazione sulla attività scientifica del candidato:

‘Il prof. Majorana Ettore si è laureato in Fisica a Roma nel 1929. Fin dall’inizio della sua carriera scientifica ha dimostrato una profondità di pensiero ed una genialità di concezione da attirare su di lui la attenzione degli studiosi di Fisica Teorica di tutto il mondo. Senza elencarne i lavori, tutti notevolissimi per l’originalità dei metodi impiegati e per l’importanza dei risultati raggiunti, ci si limita qui alle seguenti segnalazioni:

Nelle teorie nucleari moderne il contributo portato da questo ricercatore con la introduzione delle forze dette “Forze di Majorana” è universalmente riconosciuto tra i più fondamentali, come quello che permette di comprendere teoricamente le ragioni della stabilità dei nuclei. I lavori del Majorana servono oggi di base  alle più importanti ricerche in questo campo.

Nell’atomistica spetta al Majorana il merito di aver risolto, con semplici ed eleganti considerazioni di simmetria, alcune tra le più intricate questioni sulla struttura degli spettri. In un recente lavoro infine ha escogitato un brillante metodo che permette di trattare in modo simmetrico l’elettrone positivo e negativo, eliminando finalmente la necessità di ricorrere all’ipotesi estremamente artificiosa ed insoddisfacente di una carica elettrica infinitamente grande diffusa in tutto lo spazio, questione che era stata invano affrontata da molti altri studiosi’.

Commenta acutamente Recami, che l’importante contributo di Majorana sulle equazioni a infinite componenti non viene menzionato in questa relazione per il semplice motivo che non era ancora stato capito.

La profondità di pensiero e la genialità di concezione di cui parla la Commissione non può che spiegarsi con la capacità di Majorana di comprendere appieno le implicazioni filosofiche della scienza. Osserva Nicola Cabibbo: ‘Le due grandi rivoluzioni scientifiche di questo secolo, relatività e meccanica quantistica, hanno generato una attitudine filosofica nei riguardi della scienza che è allo stesso tempo più umile e più robusta’. È questa attitudine filosofica, e aggiungiamo noi anche letteraria, che consente a Majorana di anticipare i tempi e di trovare soluzioni originali a problemi teorici complessi e fino ad allora inesplorati.

La stessa tesi di laurea del ‘29, dedicata alla meccanica dei nuclei radioattivi, rimane ancora oggi un contributo fondamentale che ‘colpisce per la chiarezza dell’impostazione e l’approfondimento dei problemi relativi alla struttura dei nuclei e alla teoria del loro decadimento alfa’.

Nel 1931 durante una conversazione con il fisico tedesco Heitler, presente Gian Carlo Wick, Majorana formula una ‘teoria relativistica di particelle cariche a spin zero basata sull’idea di quantizzazione dei campi’; naturalmente, malgrado l’invito dell’amico, Majorana si rifiuta di pubblicarla e, tre anni dopo, i fisici Pauli e Weisskopf, pubblicheranno un lavoro sostanzialmente simile.

Nel 1932, ampliando alcuni studi di Joliot e Curie e di Chadwick, ‘Majorana elabora una teoria in cui ammette come sole componenti del nucleo i protoni e i neutroni (o protoni neutri come lui li chiama allora), stabilendo un’interazione dei primi con i secondi attraverso forze di scambio; e tale teoria espone, se pure per sommi capi, agli altri ricercatori dell’Istituto’. Fermi ne comprende l’importanza e lo sollecita a pubblicarlo, ma Majorana si rifiuta giudicandolo inadeguato. Fermi gli chiede allora di poterne parlare a Parigi alla Conferenza Internazionale sull’Elettricità, ma Majorana non acconsente. Il 7 luglio Fermi legge la sua relazione sullo Stato attuale della fisica del nucleo atomico, ma non fa nessun riferimento a quelle forze di scambio successivamente denominate forze di Majorana.

Il 19 luglio 1932 nel fascicolo della «Zeitschrift für Physik» viene pubblicato lo studio di Heisenberg sulle forze di scambio alla Heisenberg. Si trattava di una teoria del nucleo che consentiva, anche se ancora in modo imperfetto, di superare molte difficoltà di principio ritenute fino a quel momento insormontabili. Nella teoria di Heisenberg sono chiaramente presenti le idee esposte da Majorana all’Istituto di Fisica di Roma. Di nuovo sollecitato da Fermi a pubblicare le sue ricerche sull’argomento, Majorana ‘rispondeva che Heisenberg aveva ormai detto tutto quello che si poteva dire e che, anzi, aveva detto probabilmente anche troppo’.

E questa affermazione a proposito di Heisenberg non deve far pensare ad un carattere supponente al limite dell’arroganza, perché anche in merito alle ricerche di Joliot e Curie Majorana aveva esclamato: “Non hanno capito niente; probabilmente si tratta di protoni di rinculo prodotti da una particella neutra pesante”. Ed era proprio così, Majorana aveva capito tutto in largo anticipo su tutti.

Il viaggio in Germania del ’33 è per Majorana molto importante: a Lipsia conosce Heisenberg e, successivamente, a Copenaghen Nils Bohr. Le lettere che scrive alla madre da Lipsia evidenziano la sua soddisfazione per il rapporto amichevole che riesce ad instaurare con Heisenberg: “Ho avuto una lunga conversazione con Heisenberg che è una persona straordinariamente cortese e simpatica. […]Ho scritto un articolo sulla struttura dei nuclei che a Heisenberg è piaciuto molto benché contenesse alcune correzioni a una sua teoria. Pubblicherò in tedesco, estendendolo, anche l’ultimo mio articolo apparso sul ‘Nuovo Cimento’; in questo lavoro è contenuta una importante scoperta matematica come ho potuto accertarmi mediante un colloquio col prof. Van Der Waerden, olandese che insegna qui, una delle maggiori autorità in fatto di teoria dei gruppi”. Dunque Majorana corregge Heisenberg, e si permette anche di non intervenire ad un seminario dopo essere stato in tal senso sollecitato direttamente da Heisenberg che lo aveva elogiato per il contributo dato allo studio delle forze nucleari: ‘Uscendo dal seminario, Uhlenbeck espresse a Feenberg la sua ammirazione per l’acutezza delle considerazioni fatte da Majorana e riferite da Heisenberg’.

 

La solitudine e la scomparsa

Nel 1934, quindi dopo il viaggio in Germania che sembrava avergli restituito una certa fiducia, Majorana entra in una crisi personale irreversibile. Ormai molto provato nel fisico, vive praticamente isolato e non frequenta più l’Istituto di via Panisperna. Sicuramente in questo sofferto periodo scrive Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, rintracciato e pubblicato postumo da Giovanni Gentile jr.

I motivi di questa crisi, ancora oggi non del tutto comprensibili, forse si possono chiarire, ed è questa la tesi di Sciascia, con l’idea che Majorana potrebbe aver capito tutto, potrebbe aver visto la bomba atomica. Di questa possibilità Majorana lascia indizi e tracce inquietanti nelle sue lettere: abbiamo visto come a proposito di Heisenberg affermi che aveva detto probabilmente anche troppo; e successivamente, in una lettera indirizzata alla famiglia ritrovata nella sua camera d’albergo a Napoli, in cui esprimeva il suo desiderio di suicidarsi, aggiungeva: Io non voglio far male a nessuno, e perciò in ogni caso non riprenderò l’insegnamento.

Nel vuoto della stanza, incollato alla sua solitudine, Majorana vagava con la mente, studiava e pensava, formulava avanzatissime teorie che poi distruggeva. Possedeva la scienza naturalmente, ma quella scienza a cui voleva disperatamente dare uno sbocco filosofico in grado di giustificare la sua esistenza, ad un certo punto si trasforma in una immagine di morte. Majorana scompare tra il 26 e 27 marzo 1938 sul traghetto Napoli-Palermo e di lui non si saprà più nulla. Nessuno meglio del suo amico Amaldi ha saputo esprimere i dubbi, lo sconcerto e l’amarezza per una perdita irreparabile:

‘Non si è saputo più nulla: tutti sono rimasti con un senso di profonda amarezza per la perdita, chi di un parente, chi di un amico, gentile, riservato e schivo di manifestazioni esteriori, così evidentemente affettuoso anche se profondamente amaro: un senso di frustrazione per tutto quello che il suo ingegno non ha lasciato ma che avrebbe ancora potuto produrre se non fosse intervenuta la sua assurda scomparsa; e soprattutto un senso di profondo e ammirato stupore per la sua figura di uomo e di pensatore che era passata tra noi così rapidamente, come un personaggio di Pirandello carico di problemi che portava con sé, tutto solo; un uomo che aveva saputo trovare in modo mirabile una risposta ad alcuni quesiti della natura, ma che aveva cercato invano una giustificazione alla vita, alla sua vita, anche se questa era per lui di gran lunga più ricca di promesse di quanto essa non sia per la stragrande maggioranza degli uomini’.

 

Articolo pubblicato su Nuova Secondaria n.9, 15 maggio 2007, Anno XXIV